Le nozze di Figaro

Introduzione all'opera

Ekaterina Bakanova (Susanna) e Mirko Palazzi (Figaro) - foto Ramella&Giannese

Introduzione all'opera

 
Qui non si parla che del Figaro, non si suona, non si strombetta, non si fischia, non si canta che Figaro; non si sente altra opera che Figaro. E sempre Figaro!

Le nozze di Figaro rappresentano,
insieme a Don Giovanni
e Così fan tutte, il vertice massimo raggiunto dal genere dell’opera buffa settecentesca

Con queste parole cariche di entusiasmo Mozart informava il barone Gottfried von Jacquin dello strepitoso successo che la sua opera stava avendo a Praga, qualche mese dopo il suo debutto al Burgtheater di Vienna nel 1786. È un entusiasmo più che comprensibile, se si pensa che il compositore stava vivendo in quei mesi uno dei momenti di massimo favore del pubblico. Durerà poco: a Vienna infatti l’opera era piaciuta meno e la fama del compositore da lì a breve si sarebbe avviata verso quell’inesorabile declino che avrebbe contribuito alla sua prematura scomparsa.

Le nozze di Figaro non rappresentano solamente una delle vette del teatro mozartiano: insieme alle due successive opere Don Giovanni e Così fan tutte esse segnano il vertice massimo raggiunto dal genere dell’opera buffa settecentesca. Quello compiuto da Mozart fu infatti un vero e proprio miracolo: riuscire a trasformare un genere di teatro musicale frivolo e disimpegnato, privo di alcuna pretesa se non quella del divertimento, in una sorprendente forma di rappresentazione della vita nei suoi molteplici aspetti, animata da una musica che come nessun’altra sa essere al contempo leggera e profonda.

Questo miracolo non sarebbe stato possibile senza l’incontro di Mozart con l’abate Lorenzo Da Ponte, uno dei migliori librettisti che la storia del melodramma abbia conosciuto. Bisogna dire che, in realtà, il lavoro di Da Ponte per questa prima opera scritta in collaborazione con Mozart si limitò a un’operazione di rifacimento e traduzione in versi italiani della già celebre commedia francese di Beaumarchais La Folle Journée, ou Le Mariage de Figaro (scritta nel 1778 e rappresentata nel 1784), la quale fu trasformata in libretto d’opera senza troppe modifiche. L’abilità di Da Ponte fu proprio quella di riuscire a tradurre in forma melodrammatica lo spirito della commedia senza rinunciare però ad aggiungervi il suo tocco personale che consisteva soprattutto nel calcare un po’ più la mano sull’elemento erotico e indugiare nel gioco dell’allusione sessuale.

L’opera è una sorta di studio
sotto forma di spettacolo teatrale delle infinite declinazioni che l’amore
può assumere

Delle tante facce che l’opera presenta, forse è proprio la rappresentazione dell’Eros a rifrangersi nelle più svariate sfumature. I suoi quattro atti sono una sorta di studio sotto forma di spettacolo teatrale delle infinite declinazioni che l’amore può assumere: la gioia per l’unione coniugale vissuta dalla coppia Susanna e Figaro, subito offuscata dai reciproci sospetti d’infedeltà; le infedeltà reali del Conte e il dolore della Contessa per il tradimento subìto, il suo rimpianto per l’amore perduto; l’esuberante libido giovanile del paggio Cherubino; l’innocenza perduta di Barbarina; il piacere dell’attesa dell’incontro amoroso sperimentato da Susanna nella scena del giardinetto del quarto atto; la conquista sessuale vissuta come affermazione di potere da parte del Conte… Sono solo alcune delle forme che l’amore, inteso sia come sentimento sia come pulsione carnale, assume nell’opera.

A queste se ne aggiungono anche altre in cui l’ambiguità dapontiana sa farsi particolarmente sottile: un esempio è la scena del secondo atto in cui Susanna agghinda il giovane Cherubino con vesti da servetta e poco dopo ne ammira con invidia la bianca pelle, un’invidia che forse nasconde un desiderio taciuto, un desiderio che, sicuramente oggi più di allora, unisce ambiguità ad ambiguità se si considera che Cherubino è un ruolo en travesti, ovvero cantato da un’altra donna.

Carmela Remigio (La contessa) - foto Ramella&GianneseMa considerare Le nozze di Figaro solamente sotto la lente della sua vasta e talvolta ambigua fenomenologia erotica sarebbe un errore. In realtà, sebbene spesso si sia sostenuto che l’opera di Mozart ridimensioni notevolmente gli elementi di critica sociale presenti nella commedia di Beaumarchais a favore di una comicità più innocua e basata unicamente sull’intreccio amoroso, non si può negare che i vari contrasti personali attorno ai quali ruota tutta la vicenda siano in primo luogo contrasti di classe sociale. Abbiamo un Conte prevaricatore e un servo che deve ingegnarsi per contrastarne la prepotenza, entrambi ce lo spiegano bene nelle rispettive arie: «Se vuol ballare, / signor contino / il chitarrino / le suonerò» cantata dal servo Figaro e «Vedrò, mentr’io sospiro / felice un servo mio» cantata dal Conte.

Mettere in scena personaggi mossi da reciproci contrasti personali era, tra l’altro, quanto di più frequente nelle convenzioni del teatro d’opera: l’uno desidera qualcosa la cui realizzazione contrasta con le aspirazioni dell’altro. Ma nelle Nozze di Figaro questa rete di desideri contrastanti diviene mutevolissima e il ritmo dell’azione viene dettato dal gioco instabile di nuovi conflitti e nuove alleanze, assumendo la forma tipica della “commedia d’intrigo”, ovvero un’azione teatrale molto intrecciata, fatta di macchinazioni, travestimenti, agnizioni in cui, come in una matassa aggrovigliata, per ogni nodo sciolto se ne sono creati altri due nuovi. A riprova, chi vuole raccontarne la trama si trova solitamente imbrigliato in una quantità di dettagli quasi impossibili da sintetizzare: tutti paiono importanti quanto superflui allo stesso modo.

Solo l’invenzione di un
nuovo linguaggio musicale consentì al compositore
di tenere insieme i vari fili
di una vera e propria “commedia d’intrigo”

Come la musica di Mozart riesca a districarsi all’interno di questa rete è stato ed è tuttora oggetto di studio della moderna analisi musicologica, nonché di ammirazione di grandi compositori dell’Ottocento (uno su tutti, Brahms). Quello che è certo è che fu solo l’invenzione di un nuovo linguaggio musicale, la cui caratteristica principale è la capacità di aderire saldamente all’azione drammatica e al dialogo dei personaggi, che consentì al compositore di tenere insieme i vari fili della matassa. Questo nuovo stile musicale in cui, per usare le parole di Wagner, «il dialogo si fa pura musica e la musica stessa diventa dialogo», lo si ritrova soprattutto nei celebri concertati che chiudono il secondo e il quarto atto, considerati da Da Ponte delle vere e proprie “commedie nella commedia”.

Ma la grandezza di quest’opera non risiede unicamente nella maestria con la quale Mozart fu in grado di risolvere i problemi posti dalla sua moderna drammaturgia, improntata al dinamismo scenico e alla rapidità d’azione. Dobbiamo alla sensibilità critica di Massimo Mila l’idea che tutti gli intrighi che s’intessono nell’opera altro non siano che la metafora di uno dei concetti chiave dell’Illuminismo. L’anelito che anima ognuno dei personaggi verso il raggiungimento della propria realizzazione può essere letto come l’espressione di uno dei diritti inalienabili dell’essere umano: il diritto alla ricerca della propria felicità, una meta da conquistare superando con fatica una serie di ostacoli. Pur temporaneo sia il suo possesso, essa rimane il fine cui deve continuare a tendere l’esistenza di ogni uomo.

La musica di Mozart e soprattutto il suo teatro, con le sue improvvise epifanie di attimi di felicità, incarna totalmente questo ideale. Nel finale delle Nozze di Figaro lo stato di grazia e di raggiunta felicità (seppur precaria) è finalmente condiviso da tutti i personaggi, e a evocarlo sulla scena è il nobile gesto di perdono della Contessa nei confronti del consorte infedele. Un gesto semplice che in un momento assolve tutti i personaggi e annulla ogni precedente conflitto. È un attimo di elevazione spirituale cui la musica di Mozart conferisce un’aura sacrale, quasi ci trovassimo di fronte a una sorta di cerimonia laica. È in momenti come questi che le opere buffe di Mozart, solitamente poco inclini ad atteggiamenti didattici, cessano di essere semplici commedie per musica e diventano espressione di un messaggio etico universale, mai strombazzato con i toni della retorica, ma suggerito con la leggerezza della risata.

Marco Targa


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