Trovatore, Il

Copertina volume Il trovatore
12.00€

136 pagine
40 illustrazioni
30 tavole in b/n

Disponibile
ISBN
978-88-99577-35-3
Stagione
2018-2019

Le dirò con due parole...
a cura di Andrea Malvano

L’incendio del Trovatore
di Paolo Gallarati

Le fonti spagnole dell’opera
di Víctor Sánchez Sánchez

Il trovatore secondo Pinchas Steinberg
a cura di Stefano Valanzuolo

A colloquio con Paul Curran
a cura di Liana Püschel

Un ritratto
di Alberto Bosco

Struttura dell’opera e organico strumentale
a cura di Enrico M. Ferrando

Le dirò con due parole...

a cura di Andrea Malvano

Fu Antonio García Gutiérrez a stuzzicare l’immaginazione di Verdi per la stesura del Trovatore. Il drammaturgo spagnolo fino al 1836 era un oscuro scribacchino, impegnato perlopiù a tradurre i testi teatrali di altri autori. Poi, in quell’anno, con la rappresentazione del Trovador attirò su di sé un discreto interesse internazionale, che coinvolse anche Giuseppe Verdi. Il contatto probabilmente avvenne in quel porto di mare letterario che era la Parigi di metà secolo. Già nel 1851 Verdi proponeva al fedele Salvatore Cammarano l’adattamento del dramma, che gli pareva «bellissimo: immaginoso e con situazioni potenti» e che avrebbe voluto intitolare alla gitana, considerata l’interprete «principale»...


L’incendio del Trovatore

di Paolo Gallarati

Il successo del Trovatore, andato in scena nel Teatro Apollo di Roma il 19 gennaio 1853, fu strepitoso e la diffusione dell’opera fulminea. Basti dire che, già nei primi sette anni, fu eseguito a Melbourne, Bruxelles, Rio de Janeiro, Montréal, Santiago, Bogotá, Parigi, Berlino, Breslavia, Darmstadt, Dresda, Karlsruhe, Praga, Liverpool, Manchester, Dublino, Riga, Amsterdam, Lima, Lugano, Zurigo, Costantinopoli, Boston, Philadelphia, St. Louis, San Francisco, Caracas1.
Il trovatore fu l’unica opera, prima di Otello e Falstaff, a non essere commissionata da alcun teatro. La sua composizione, che si era protratta per più di due anni – un tempo eccezionalmente lungo in rapporto al frenetico ritmo produttivo che aveva caratterizzato il primo decennio della produzione di Verdi – era nata da una necessità interiore...


Le fonti spagnole dell’opera

di Víctor Sánchez Sánchez

Per Il trovatore Verdi si basò su un omonimo dramma spagnolo: El trovador di Antonio García Gutiérrez, uno dei più grandi successi del teatro romantico spagnolo. Non essendo stato ancora tradotto a quell’epoca, Verdi lo aveva letto in spagnolo, prendendo così le mosse direttamente dal dramma originale. Cammarano e Verdi realizzarono un libretto che seguiva fedelmente l’archetipo, consci del potenziale musicale insito nel lavoro di García Gutiérrez, e seppero incorporare la maggior parte di questi elementi all’interno dell’opera. Il risultato finale del Trovatore è dunque direttamente correlato alla sua fonte...
La curiosità febbrile di Verdi per il tessuto musicale.


Il trovatore secondo Pinchas Steinberg

a cura di Stefano Valanzuolo

La nostra conversazione, maestro Steinberg, potrebbe prendere le mosse dalle parole di un grande Manrico del passato, Giacomo Lauri Volpi, il quale amava sottolineare che per fare «Il trovatore» servono soltanto quattro cantanti. Il resto – diceva lui – è superfluo. Immaginiamo che, da direttore d’orchestra, lei voglia dissentire…

Potrei dichiararmi in disaccordo per una questione di difesa della categoria, è vero. Ma il problema è che Lauri Volpi, in fondo, aveva ragione. Nel senso che quest’opera, senza quattro voci importanti, non riuscirebbe mai e poi mai a decollare, neppure col più bravo dei direttori.

Neppure con Pinchas Steinberg?

Non cedo alla provocazione. Ma ammetto di conoscere a fondo e da tempo Il trovatore, e di amarlo da sempre...
Follia e passione al chiaro di luna.


A colloquio con Paul Curran

a cura di Liana Püschel

Tra tutte le opere di Verdi, Il trovatore è stata quella più amata dai suoi contemporanei. Quante fanciulle avranno voluto imitare la fervente determinazione di Leonora nel difendere il suo amore? Quanti giovani avranno ricordato «Di quella pira» mentre correvano a lottare per i loro ideali? Si dice che persino Cavour abbia intonato a squarciagola la celebre cabaletta, appena seppe che l’Austria aveva rotto per prima la pace dando così inizio alla seconda guerra d’indipendenza.

Come affronta il regista Paul Curran la sfida di mettere in scena questo classico del repertorio operistico che ha infiammato generazioni di italiani?

Ogni volta che inizio a lavorare su un’opera seguo gli stessi passi. Innanzitutto, leggo il libretto in lingua originale, perché per me è indispensabile conoscere la lingua e la cultura cui appartiene un’opera; in seguito leggo la musica e, infine, ascolto una registrazione, per capire i colori e le sfumature dell’orchestra. Dopo che mi sono staccato dal progetto per un attimo, m’informo sulle fonti, le ambientazioni, il contesto storico. Per ultimo metto in moto l’immaginazione per capire come una storia possa riflettersi nel mondo di oggi...


Un ritratto

di Alberto Bosco

Quanta gente ancora crede che Giuseppe Verdi sia nato in una famiglia di contadini? Chissà, certo è che di tutti i miti che nei secoli, in particolare nel XIX, si sono sovrapposti alla figura storica di questo compositore, quello delle sue origini contadine è il più rivelatore e da lì si può partire per tracciarne un ritratto. Tecnicamente parlando, Verdi, contadino non lo nacque, ma lo diventò. Era, infatti, nato in una frazione di Busseto che si chiama Roncole – e forse l’assonanza con roncola, attrezzo contadinesco, può aver influito sulla nascita della leggenda – ma suo padre era un oste, sua madre una filatrice e la sua educazione fu borghese. In più, i genitori furono abbastanza aperti da non ostacolare la vocazione del figlio che, seppur instradato un po’ tardi a quella carriera e non aiutato da un talento eccezionalmente spiccato, era quanto mai ostinato a fare di sé un musicista. Secondo alcuni, ricevette addirittura una formazione più ordinata nelle belle lettere – si era pensato di farlo sacerdote – che non in musica, non avendo avuto ad esempio la fortuna di un Rossini di incontrar per la sua strada un maestro del calibro del padre Mattei
all’età dovuta...


Struttura dell’opera e organico strumentale

a cura di Enrico M. Ferrando

Verdi fu sempre fedele alla concezione per “numeri chiusi” del melodramma italiano classico: le sue opere pertanto possono essere descritte come un seguito di pezzi musicali autonomi (arie, duetti, cori, pezzi d’assieme) organizzati secondo criteri di varietà e di contrasto. La forma, tanto dei singoli pezzi quanto dell’opera nel suo insieme, obbediva poi a modelli convenzionali (il melodramma era uno spettacolo commerciale, e il suo sistema produttivo era regolato da meccanismi rigidi): pur senza rifiutarli a priori, Verdi, soprattutto a partire dalla cosiddetta “trilogia popolare” (Rigoletto, Il trovatore, La traviata), li rielaborerà per adattarli alle proprie esigenze espressive, fino a definire, con le ultime opere Otello e Falstaff, una personale idea di “dramma in musica”...

 

 

 

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