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Roberto Bolle and Friends
Teatro Regio, Venerdì 29 Dicembre 2017 - Domenica 31 Dicembre 2017
Presentazione

La "Facilità di Essere" Roberto Bolle
Forse un giorno qualche semiologo, come già fece Umberto Eco con Mike Bongiorno, si dedicherà a stendere un saggio dedicato alla Fenomenologia di Roberto Bolle. Ad analizzarne il tipo di successo, che supera i naturali confini dei cultori del teatro di danza ed è piuttosto paragonabile a quello di una popstar con al seguito un agguerrito esercito di groupies di tutte le età, generi, nazionalità. Qualcosa di anomalo, nel pur vivace mondo del balletto che storicamente ha avuto i suoi fanatismi, dai ballettomani pronti a mangiarsi la scarpina di Maria Taglioni alla consacrazione a icona pop di Rudolf Nureyev, che negli anni Sessanta con la sua storia e personalità contribuì alla rivoluzione culturale dell’epoca.
Rispetto alla fama del divo russo – per altro sempre evocato come primo intuitore del suo talento (ma il ruolo di Tadzio per cui il quindicenne Roberto era stato adocchiato finì a Eugenio Buratti) – il successo attuale di Bolle è comunque diverso: in un certo senso ancora più espanso, davvero "di massa". Qualcosa che trascende le sue supreme qualità di danzatore classico in purezza e che si potrebbe spiegare, parafrasando Jean Cocteau, grazie alla sua “Facilità di Essere”. Una facilità perfettamente espressa dalla luminosa presenza che, pur superati i quarant’anni, lo rende ancora un puer ideale, dall’espressione adolescenziale su un corpo dalle proporzioni perfette: un tipo di bellezza che evoca valori profondi della cultura occidentale, per cui le virtù più nobili dell’essere umano trovano corrispondenza in una perfezione formale fatta di equilibrio di proporzioni e armonia di gesti. Bello & Buono. Una endiadi che nelle ‘scelte di campo’ fatte, Bolle non ha mai mancato di ribadire: con il suo impegno per l’UNICEF, con il suo sostegno per il FAI, con la presa di coscienza del suo ruolo nella vita culturale italiana. E proprio questa consapevolezza ha di fatto trasformato un progetto come Roberto Bolle and Friends da una agile "serata con ospiti" per raggiungere città lontane dai circuiti ufficiali, in una ambiziosa impresa capace di veicolare impegnativi messaggi culturali, che la popolarità di Bolle ha il potere di amplificare ormai all’ennesima potenza.
Si pensi solo al Tour 2015, un "Viaggio nella Bellezza" dei nostri siti archeologici, tra Caracalla, Arena di Verona e Pompei, fissato dal documentario cinematografico di Francesca Pedroni. Se a confermare la forza massmediatica di Bolle è il fatto che il film, proiettato in oltre duecento sale, si è piazzato al secondo posto per presenze dopo il blockbuster Animali fantastici..., lo stesso film registra un particolare interessante. Infatti, per cogliere ogni dettaglio della danza perfetta, ma anche della perfetta bellezza del danzatore, agli spettatori viene fatto correre lo sguardo dal palcoscenico ai megaschermi che costeggiano le quinte. Per assecondare il desiderio di appagamento estetico-etico, cioè, attraverso un artifizio tipico degli eventi rock, ecco che il reale lascia spazio al virtuale. All’immagine in quanto tale. Così in questa idealizzazione ribadita spesso dalla comunicazione con cui sono segnati i momenti della carriera di Bolle – in cui i termini "magia", "incanto", "mistero", l’irreale insomma, sono costanti – non sorprende che lui stesso enfatizzi la percezione di sé, così vicino a noi, eppure così lontano, diventando soggetto virtuale nel solo Prototype di Massimiliano Volpini o nelle installazioni di Bob Wilson.
Tuttavia per Bolle, artista comunque avveduto e pragmatico, gli amati appuntamenti con i Friends sono con il tempo diventati occasione anche per studiare da direttore artistico. Non nega infatti di pensare a quel ruolo, quando sarà il momento. E allora ogni programma non regala solo l’opportunità di vedere con lui eccellenti danzatori da tutto il mondo, ma anche cogliere le sue predilezioni artistiche, ora che è attratto sempre più dai grandi ruoli (come Armand o Des Grieux), ma pure dai linguaggi del postclassicismo, magari schizzati di sano umorismo (come nel buffo Grand Pas de Deux di Spuck) o di guizzi rock (come nei recenti pezzi di Bigonzetti).
Anche qui però l’attenzione è sempre per un sapiente mix di alto e pop, classicità e postmoderno, per mostrare i mille linguaggi della danza – ora astrali, ora comunissimi – e le mille screziature del suo talento, che Bolle continua a curare con rigore. Perché per mantenere quella “Facilità di Essere” che lo rende così unico, il lavoro non finisce davvero mai.