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Falstaff
Teatro Regio, Mercoledì 15 Novembre 2017 - Domenica 26 Novembre 2017
Libretti

152 pagine
46 illustrazioni
27 tavole in b/n
prezzo 12,00 €
prezzo con il carnet 8,00 €
Le dirò con due parole...
a cura di Luca Rossetto Casel
«Falstaff!… Sir John Falstaff!!». È tanto ingombrante che il suo nome irrompe sulla scena fin da subito, preceduto solo da una manciata di battute e dal precipitoso alzarsi del sipario: uno scompiglio di gesti sonori tra l’imperioso e il trafelato, nella cui precipitazione spigolosa già prendono forma il caleidoscopico mutar di colori, il gioco di timbri mobilissimo e pulviscolare in cui l’ascoltatore imparerà presto a riconoscere il tratto caratteristico della veste strumentale dell’ultimo melodramma verdiano.
A dire il vero, Sir John è ingombrante abbastanza per occupare i pensieri del compositore per anni, molti prima che l’eventualità di costruire un’opera intorno alla sua corpulenta figura si consolidi in un progetto concreto...
Reminiscenze e assonanze in Falstaff?
di Luigi Abbate
«… un’ Italia senza Verdi sarebbe un’ Inghilterra senza Shakespeare».
Luciano Berio 1
«E Verdi è teatro, meravigliosamente, a ogni costo teatro, con buona pace
dei musicologi che a Verdi chiedono, che so, di essere Brahms».
Attilio Bertolucci 2
Condivisibile o meno, la prima citazione in esergo dà la misura dell’importanza fondativa dei due grandi nella storia della cultura occidentale. È comunque indiscutibile che, nella messa in relazione diretta fra loro, la presenza di Shakespeare è a sua volta, se non fondativa, certo formativa nel percorso produttivo di Verdi. A ciascuno dei tre momenti d’incontro con il Bardo – Macbeth, Otello, Falstaff – corrisponde un importante passo avanti nel processo di trasformazione della ricerca compositiva del musicista. E dei tre capolavori, l’ultimo è una vera e propria sterzata in senso stilistico, linguistico, drammaturgico. Sterzata netta, che segna la musica del suo tempo e di importanti esiti del teatro musicale a seguire, valga un titolo per tutti: Bohème di Puccini...
Il mattino del mondo.
Falstaff da Shakespeare a Verdi, a Welles
di Fabio Vittorini
«Ah, no, he did not want […] the innocence that seals the mind
against imagination and the heart against experience!»
Edith Wharton
La duplice triangolazione che lega i nomi di William Shakespeare, Giuseppe Verdi e Orson Welles è uno di quegli arabeschi disegnati spontaneamente dalla Storia che finisce per esercitare una suggestione irresistibile sulle (ri)costruzioni dei critici. La Storia ci ha consegnato tre storie, cristallizzatesi una volta per tutte nelle vicende di altrettanti grandi personaggi shakespeariani: il cavaliere inglese John Falstaff, comico comprimario in quattro drammi storici (Richard II, Henry IV Part I, Henry IV Part II, Henry V) e protagonista in una commedia (The Merry Wives of Windsor), approdato sulle scene tra il 1595 e il 1599; i protagonisti eponimi delle tragedie Othello (1603) e Macbeth (1606), rispettivamente un generale moro dell’esercito della Repubblica di Venezia e un generale dell’esercito, barone e poi re di Scozia. Verdi attinge a Shakespeare componendo tre opere che rovesciano la cronologia originale: Macbeth (melodramma nel 1847, trasformato in grand opéra nel 1865), Otello (dramma lirico, 1887) e Falstaff (commedia lirica, 1893). Welles porta sul grande schermo gli stessi tre personaggi, replicando la sequenza verdiana: Macbeth (1948), Othello (1951) e Chimes at Midnight (distribuito anche come Falstaff, 1965)...
Un ritratto
di Alberto Bosco
Quanta gente ancora crede che Giuseppe Verdi sia nato in una famiglia di contadini? Chissà, certo è che di tutti i miti che nei secoli, in particolare nel XIX, si sono sovrapposti alla figura storica di questo compositore, quello delle sue origini contadine è il più rivelatore e da lì si può partire per tracciarne un ritratto. Tecnicamente parlando, Verdi, contadino non lo nacque, ma lo diventò. Era, infatti, nato in una frazione di Busseto che si chiama Roncole – e forse l’assonanza con roncola, attrezzo contadinesco, può aver influito sulla nascita della leggenda – ma suo padre era un oste, sua madre una filatrice e la sua educazione fu borghese. In più, i genitori furono abbastanza aperti da non ostacolare la vocazione del figlio che, seppur instradato un po’ tardi a quella carriera e non aiutato da un talento eccezionalmente spiccato, era quanto mai ostinato a fare di sé un musicista...
Euforia e libertà.
Falstaff secondo Daniele Abbado
a cura di Susanna Franchi
«È una commedia lirica, non è un’opera buffa, non è una farsa». Il regista Daniele Abbado chiarisce subito che cosa sia il Falstaff di Verdi e che cosa non debba essere: «Non deve essere una caricatura, non deve essere incentrata su un personaggio bulimico e avvinazzato».
Si dibatte sempre su quanto Shakespeare ci sia nel «Falstaff» di Verdi.
In Falstaff l’incontro tra Verdi e Shakespeare ha del magico. È stato Arrigo Boito a convincere Verdi a comporre la sua ultima opera su un argomento comico; così gli scriveva: «Dopo aver fatto risuonare tutte le grida e i lamenti del cuore umano, finire con uno scoppio immenso di ilarità! C’è da far strabiliare!». Per Verdi è una grande occasione, lui che ha sempre fatto piangere chiude la sua carriera di operista con una grande risata. Shakespeare c’è in pieno, totalmente. Boito da parte sua ha fatto un lavoro egregio, scrivendo un libretto di grande raffinatezza, e Verdi lo afferra al volo. Un’invenzione bellissima è costituita da tutti i riferimenti alla mitologia, da Giove a Menelao: le radici sono quelle, radici universali. Per me Boito è il fratello minore che Verdi non ha mai avuto...
Argomento - Argument - Synopsis - Handlung
Struttura dell’opera e organico strumentale
a cura di Enrico M. Ferrando
La carriera di Verdi può essere descritta nella prospettiva della lunga evoluzione attraverso la quale la struttura delle sue opere, che nella prima fase della sua attività aderiscono alla concezione per “numeri chiusi” del melodramma italiano classico, si trasforma gradualmente in un insieme articolato e flessibile all’interno del quale non c’è piú soluzione di continuità tra momenti drammatici (recitativi) ed effusione lirica (arie, duetti). In questo senso Verdi pervenne a una definizione autonoma e personale del “dramma musicale”: un tipo di opera nel quale non è il testo ad adattarsi a un sistema di pezzi (arie, duetti, concertati, ecc.) preordinati secondo uno schema determinato da convenzioni, ma è la musica ad adattarsi al libretto. Naturalmente il libretto, in questo caso, è confezionato in modo da corrispondere al decorso drammaturgico-musicale immaginato dal compositore: non a caso Wagner – il padre del moderno dramma in musica – scriveva da sé i propri libretti...